L’unica cosa che so è di non sapere, incontro postumo con il maieuta

Al termine della sua carriera, un dirigente della Pubblica Amministrazione decide di occupare il suo tempo libero con una nuova attività nel campo della comunicazione e del marketing; nella Concessionaria di Pubblicità per la quale inizia a operare incontra il suo maieuta (sull’agorà greca, il centro della vita civile e politica, Socrate praticava l’insegnamento maieutico, provvedendo all’interrogazione degli altri per far nascere in loro il desiderio della ricerca della verità)

Caro Maieuta, grazie al cielo se un bel giorno ti ho incontrato... Con te ho potuto allargare le mie conoscenze che, fino alla fine del secolo scorso, erano lontane dal mio percorso di lavoro, chiuse in chissà quale cassetto, nascoste ai miei occhi, immotivate alle mie necessità; con te ho potuto ampliare la mia visuale che prendeva spazio sul terreno delle regole del libero mercato.
Tuttavia ho ancora da farti moltissime domande rimaste parcheggiate nelle mie celle del pensiero; spero tu abbia la bontà di fornirmi le risposte che mi mancano per soddisfare la mia fame di notizie; perché l’unica cosa che so è di non sapere.

Inizio con una premessa che ritengo d’obbligo
Correva l’anno duemila, quando dirigente presso una Amministrazione Statale contribuivo a sbrigare le faccende di tutti nel fascino del servizio pubblico...
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Contrariamente a quanto si diceva o si potesse pensare, anche lì c’era molta gente che “pedalava”, posso assicurartelo; anzi ti posso affermare che erano ben poche le persone da me conosciute che nella pedalata si facevano tirare. Purtroppo la “mia” Amministrazione Statale, come altre a quel tempo, si dovette trasformare in Ente Pubblico Economico, per poi completarsi in S.p.A.; allo scopo di potersi porre dei traguardi, degli obiettivi annuali per il raggiungimento del pareggio di bilancio tramite il conseguimento del profitto; cosa che non era possibile fare prima. Infatti, per quanto i nostri maestri ci hanno insegnato, sappiamo che le Amministrazioni dello Stato, che per propria natura sono governate dalla logica del non profitto, i bilanci devono chiuderli in pareggio. Nel nostro sistema “misto” non era più possibile conseguire tale condizione a causa delle forti spinte, dei crescenti bisogni che costringevano le politiche economiche dello Stato ad applicare propri modelli di teorie di deficit spending; teorie che hanno prodotto l’indebitamento dello Stato in modo crescente e che oggi conosciamo.
Nel merito, la grande politica ha avuto il ruolo prevalente sulle scelte adottate dal Sistema Paese; oggi però -anche noi meno critici- constatiamo quanto sia stata misera la raccolta, sia delle piccole e medie imprese, sia dei lavoratori.

 

Per questo c’è forse qualcuno che merita assolversi o, peggio ancora, premiarsi con vantaggi, stipendi e pensioni insostenibili?
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La condizione che mi ha veramente lasciato perplesso è stata quella di vedere realizzata la trasformazione della “mia” Amministrazione Pubblica in S.p.A. come fosse una passeggiata sotto il sole: la proprietà rimaneva al Tesoro mentre la gestione passava in mani private. Si sarebbe trattato, dunque, di un’amministrazione dell’Azienda a tutti gli effetti privata, ma con capitale pubblico.
Ora non intendo chiedere cosa tu possa pensare di un così disinvolto transito da me considerato inconciliabile, ma io questo fatto l’ho sentito stridere, come stridono in frenata i cerchioni privi di copertone sull’asfalto. La prima cosa che mi è venuta in mente, scartando i pensieri più cattivi, è stata quella della svolta all’uso privato della gestione del personale, compresi i licenziamenti. E poi, pensa cosa può generare un capitale pubblico sottoposto a una gestione privata.
La mia premessa ora arriva storicamente al dunque: allo sfoltimento della forza lavoro, alle uscite morbide con gli incentivi (nel rifiuto, come nel caso mio, si giungeva al licenziamento). La motivazione con cui mi lasciarono a casa definitivamente fu questa: “licenziamento per raggiunti limiti di pensione”. Avevo cinquantasette anni. Non riuscivo ad accettare la scure che mi cadeva dall’alto sulla testa da parte di una logica intrusa nell’ambito della “mia” Amministrazione dello Stato.
Mi sono sentito profondamente ferito, perché credevo che l’uscita morbida di personale fosse una motivazione volontaria fino al raggiungimento del quorum stabilito e non una condizione forzata, così come è stata. Di solito si pensa che l’interpellanza all’uscita abbia i suoi no e i suoi si. Invece così non fu. Si procedeva all’uso del licenziamento, con il grande dubbio rimasto in me nel capire veramente se tale procedura fosse una scelta nei termini previsti.
Al riguardo si svolsero delle cause: qualcuno vinse, altri no: io fra i perdenti
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Restava in chi perdeva, come me, il pensiero di non essere un lavoratore uguale al collega che aveva vinto; restava l’amarezza di sentirsi ingiustamente licenziato a differenza di chi era stato giustamente risarcito. La sentenza questo aveva stabilito e le sentenze si accettano, non si discutono: così si sente dire da voci che dall’alto cadono sul “popolo”. Povero popolo che vorrebbe vivere almeno da cittadino...
A tutto questo però reagii: non sono rimasto fermo là dove degli sconosciuti subentrati mi avevano forzatamente collocato.
Pensai che il mondo era più grande di quello che avevo lasciato e che potevo affacciarmi in un nuovo panorama, certamente a me sconosciuto, ma tutto da scoprire.

 

 

Così ho realmente fatto, ed eccomi qui a parlarti di questo
Mi trovavo nell’anno duemila, quando la mia vita ha cambiato il suo corso...
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Fu un cambiamento profondo, di cui il mio fisico ha in parte risentito: tornavo a trovarmi di fronte a una lavagna di scuola alla soglia dei sessant’anni, perché in qualche modo costretto a ricostruire nuove basi adatte ad  affrontare il cambiamento che la vita mi aveva procurato; tuttavia, sono contento di essere stato protagonista  di una così profonda rigenerazione.
La prima decisione fu di dare l’esame per Promotore Finanziario (superato al primo colpo)
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Ricordo che in quella sessione c’era gente molto più giovane di me che per la settima volta si accingeva a sostenere la prova. Non puoi immaginare, caro maieuta, le attenzioni ricevute da parte di tutti i compagni di corso, e in modo particolare da parte dei dirigenti della Banca che mi acquisiva tra le file dei suoi Consulenti.
Superai un ostacolo posto molto in alto, ma ciò non era sufficiente: non bastava quell’esame a fornirmi la conferma che la svolta c’era stata. Dovevo studiare il piano formativo, la tecnica bancaria e finanziaria, infinite parole nuove che per me suonavano come tanta musica inedita. Dovevo imparare come si diventa un venditore e ciò non bastava, dovevo imparare a diventare un venditore meraviglioso, padrone del dialogo come della gestione del silenzio. Tutto questo entrava a far parte del mio quotidiano, come autonoma gestione della mia vita rivolta ai risultati da conseguire.
Nulla mi era impossibile se l’impossibile lo facevo diventare possibile attraverso la forza e la volontà del mio cammino...
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In quel particolare momento della mia vita, quando tutto sembrava afferrabile a al tempo stesso sfuggente, incontrai te, maieuta, nelle aule di formazione dove ti occupavi di costruire lo skill di nuovi account. Settore della Pubblicità Televisiva, affascinante: un altro mestiere nuovo per me... 
Concludendo questa mia prima lettera, caro Franco, posso dire di vedere il mio forzoso cambiamento legato ai mutamenti rilevanti intervenuti nel mondo del lavoro nell’ultimo decennio del secolo scorso. Oggi, a distanza di una dozzina di anni, non riesco però a immaginare quali benefici reali il cambiamento stesso abbia portato là dove la vita trascorreva in modo normale prima di quel soffio di vento nuovo che ha spostato l’asse del cerchio in avanti, costringendo il debole -rimasto indietro- a sostenere il peso della globalizzazione.
Molteplici argomenti utili avanzano a giustificare i profondi cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro e dell’Impresa. Altre motivazioni  avanzano a cercare di dare un senso alle trasformazioni organizzative imposte dalla pluri-denunciata esigenza di nuova  qualità dei prodotti da parte del Cliente.
Ho anche visto, però, come altri Paesi hanno invece disatteso la qualità, la sicurezza sulla vita, a ragione del basso costo...
                                                                                                                                             Vincenzo

 

Vincenzo amico mio...
Conoscersi non è mai un caso.
Lo spiega bene Napoleon Hill in Think and grow rich, lo storico libro-indagine sul perché del successo, commissionatogli dall’industriale e filantropo americano Andrew Carnegie e pubblicato negli anni ’30.

Nel capitolo dell’opera intitolato Fede-Fiducia lo scrittore dice, cercando di spiegare i fenomeni di casualità positiva: persone simili e correlative si attraggono.

Mi colpisci quando parli delle tue conoscenze, del tuo sapere.
E quando dici che certe informazioni erano lontane dal tuo percorso di lavoro; chiuse in chissà quale cassetto; nascoste ai tuoi occhi; immotivate alle tue necessità, stai facendo l’esatta fotografia del ritardo culturale (cultura d’impresa, psicologia del risultato, filosofia etica del successo) in cui il nostro Paese ha versato per troppo tempo e versa in parte ancora.

La consapevolezza che il capitale umano in azienda debba essere curato (valorizzato, patrimonializzato, aiutato a sentirsi un insieme, una squadra vincente) viene suggerita dall’ottica di un modello ottimale di organizzazione scientifica del lavoro che prevede prima di tutto (prima di elaborare sofisticate strategie di marketing per servire e fidelizzare il Cliente) un’ efficace dinamica di interfunzionalità fra i ruoli.

Lavorare bene e fare qualità  è la premessa irrinunciabile per puntare in modo ragionevole all’ormai sbandieratissimo obiettivo del customer satisfaction:Cliente soddisfatto che ritorna e raccomanda il proprio fornitore a parenti, amici e conoscenti; così si realizza negli affari, da che mondo è mondo, il pregiatissimo fenomeno del passa parola.

Si tratta di pensare a una politica del personale (marketing strategico verso il cliente interno) che parte da un principio: la consapevolezza che  la creazione del valore aziendale dipende dalla capacità di ogni anello della catena del valore stesso di contribuire alla ricchezza finale; in altre parole l'efficacia dei processi è garantita dalla capacità di ogni persona di individuare la qualità attesa dal proprio tipo di contributo, quello che sarà valutato dal cliente; di analizzare e individuare il tipo di qualità organizzativa necessaria al fine di operare al meglio; di contribuire -attraverso un pensiero organizzativo comune critico-positivo-costruttivo- a realizzare un valore aggiunto; di verificare la realizzazione della risposta, di un feed-back soddisfacente da parte del mercato di riferimento e in caso contrario modificare autonomamente la propria azione.

Affinché ciascuno possa operare in modo sintonizzato alla strategia, alle regole e ai valori dell'organizzazione, tale strategia, tali regole e valori devono essere comunicati efficacemente; essere convincenti per il destinatario della comunicazione; essere interiorizzati e ritenuti motivanti da tutti i componenti della squadra; essere costantemente monitorati: il management, i dirigenti -in quest’ottica- devono vedere il personale come un mercato interno al quale saper "vendere" strategie, regole, valori.

L'ipotesi vincente di partenza è che il mercato del lavoro sia basato su una relazione di scambio tra azienda e personale; scambio di vantaggi che il lavoro  dà al dipendente (non solo la retribuzione) in cambio del contributo (inteso in senso lato) che il lavoratore dà ai risultati aziendali prefissati.

Il  clima organizzativo è un indicatore forte di come le persone vivono l’azienda, di come lavorano e si relazionano all’interno dell’azienda stessa.

Avviare un progetto di analisi del clima vuol dire permettere all’organizzazione di conoscere se stessa, ma vuol dire anche e soprattutto favorire un processo di cambiamento, guidandolo nella direzione strategicamente più opportuna.

Realizzando l’analisi del clima, l’Impresa si pone in ascolto dei bisogni e delle percezioni delle persone che vivono al suo interno e si impegna a utilizzare i risultati ottenuti dall’indagine per verificare le situazioni di eventuale criticità organizzativa vissuta ogni giorno, per verificare lo scarto tra le aspettative dell’operatore e la realtà.

lo scopo é quello di progettare e programmare
 interventi finalizzati a una reale risoluzione dei problemi

Le aziende italiane, private e pubbliche, in balia allo stritolante ritardo culturale citato in apertura di questa risposta, si sono affannate (in buona fede voglio credere) a recuperare il tempo perduto attraverso non sempre ben meditati progetti di riconversione delle risorse umane.

L’intenzione era certamente (insieme a un più attento studio del mercato e dei nuovi bisogni degli utenti) quello  di creare una sorta di uomo nuovo in azienda, una risorsa consapevole della complessità organizzativa provocata dal fenomeno del cambiamento, consapevole di dover crescere in modo meno empirico rispetto al passato; sia sul piano professionale che sul piano umano.

E’ stata questa la tua impressione Vincenzo?

Hai registrato una speciale attenzione da parte dell’azienda alla quale avevi dedicato il meglio della tua vita?
Attenzione a valorizzare il talento da te dimostrato fino a quel momento.
Attenzione a gestire lo stress che quel cambiamento repentino poteva procurarti.

Come vedi, caro amico, ho già cominciato a fornirti alcune risposte (provocazioni positive più che altro) per aiutarti a soddisfare la fame di notizie che mi comunichi in apertura della tua prima lettera.

Ho letto con attenzione la premessa che hai correttamente ritenuto d’obbligo in apertura di questo nostro epistolario e ho provato a pensarti in quell’anno duemila che correva nella tua vita, mentre uno tsunami di proporzioni inimmaginabili stava per arrivare a scombinare tutti i giochi.

Certamente, come tu precisi, lì c’era molta gente che pedalava.
Tu stesso precisi però: contrariamente a quanto si diceva o si potesse pensare.
Perché si pensava questo e chi lo pensava?
In comunicazione la percezione è più vera della realtà.
Chi percepiva questa mancata pedalata che invece c’era?

La tua Amministrazione Statale si dovette trasformare in Ente Pubblico Economico e poi in SpA.
Nessuno poteva opporsi in quel momento a questa decisione, Vincenzo.
Col senno del poi possiamo anche dire oggi che lo scopo di potersi porre dei traguardi, degli obiettivi annuali per il raggiungimento del pareggio di bilancio tramite il conseguimento del profitto forse non era la cosa più giusta, che le Amministrazioni dello stato per loro natura andrebbero governate dalla logica del non profitto e che i bilanci -in     quel settore- andrebbero chiusi in pareggio; ma le spinte erano forti e costringevano le politiche economiche dello Stato ad applicare nuovi modelli, come dici; e forse il raccolto non è quel gran che per nessuno.

 

 

 

Non chiedere per chi suona la campana
suona per te... (Ernest Hemingwai

Pur non sbagliate le tue riflessioni caro amico, Hemingway ci ricorda la questione della campana e la campana del cambiamento suona per tutti prima o poi...

Spesso l’uomo sulla terra non ha tempo di interrogarsi sul giusto e sullo sbagliato, ma -rispetto ai fenomeni negativi (a suo giudizio) che lo aggrediscono all’improvviso  e lo spiazzano- può solo decidere se essere vittima o protagonista della nuova storia; quella di strumentalizzare l’handicap è l’abilità più preziosa per ognuno in questo nuovo mondo che continua (a volte anche irragionevolmente) a cambiare.

Nessuno merita di essere assolto e nessuno condannato: lo tsunami ha colpito tutti.
Stipendi e pensioni insostenibili, invece, sono da tenere nel mirino di una nuova democrazia economica che forse solo i nostri nipoti arriveranno a vedere; ma la questione della disparità arriva da molto lontano e non è facile da sistemare...

Vedere realizzata una così profonda trasformazione come fosse una passeggiata sotto il sole, tu dici... E’ impreparazione, caro amico, pura impreparazione: testimonianza del terribile ritardo culturale  più volte citato qui; quando qualcuno cade in cattività (persone, organizzazioni, stati...), se non ha la cultura per uscirne in eleganza (rispettando l’etica e la deontologia, senza penalizzare troppo chi si trova nei pressi) il rischio è che diventi cattivo:

Captivus Diaboli' è la frase latina medioevale da cui deriva la parola italiana cattivo.
Essa veniva usata per indicare eretici, assassini, scomunicati, prostitute e tutte le altre persone escluse dalla società; esagero, naturalmente, ma è solo per rendere l’idea e per dirti che comprendo il tuo smarrimento che a 57 anni vieni “cacciato” attraverso un licenziamento per raggiunti limiti di pensione.

Probabilmente hanno pensato: a male estremo, estremo rimedio.
Come in una guerra: quando chi pensa di avere ragione non riesce a negoziare, spara.

Di qui cause; amarezze; disuguaglianze...
Il mio prof di Diritto sosteneva che la miglior via per vincere una causa è non farla.
Ma quando la guerra inizia, fermarla non è facile.

Vivere almeno da cittadino: è forte questa tua frase e fa riflettere.
Bisognerebbe però ripassare il modello della polis greca che prevedeva la sana partecipazione dei cittadini alla vita politica, in contrapposizione alla città stato; come sai la peculiarità della polis non era tanto la forma di governo democratica od oligarchica, ma l'isonomia, il fatto che tutti i cittadini liberi soggiacessero alle stesse norme di diritto secondo una concezione che identificava l'ordine naturale dell'universo (kòsmos) con le leggi della città.

 pura utopia oggi
anche se siamo ufficialmente in democrazia
(mi fa male ammetterlo, ma è così)

 

 

 

Ti sei affacciato in un nuovo panorama tutto da scoprire e questo ti qualifica come Leader di te stesso.
Hai affrontato un cambiamento profondo però e il tuo fisico ne ha risentito...
Sei stato comunque protagonista, Vincenzo, e questo ti fa molto onore:.
Vedere la gente più giovane di te che per la settima volta provava a passare l’esame di Promotore Finanziario e tu passarlo al primo colpo; le attenzioni ricevute dai compagni di corso e dalla Banca che ti avrebbe acquisito tra le fila dei suoi Consulenti: tutto questo ha un valore che solo nella cattività (che non ti ha fatto diventare cattivo) potevi trovare;  e poi ancora studio, applicazione (a quasi sessant’anni) per diventare un venditore meraviglioso; decisamente una bella avventura, amico mio, da raccontare a chi ogni giorno si scoraggia e diventa cattivo con se stesso e con chi gli sta accanto.

Dici bene: nulla è impossibile se ognuno di noi lo fa diventare possibile attraverso la forza e la volontà del proprio cammino.

Io aggiungerei: alimentando, col cuore e con la mente, un desiderio sano che stimola a tagliare definitivamente i ponti dietro le spalle; consapevoli in pieno del prezzo da pagare, disposti ad agire con coraggio e perseveranza.

Stavi imparando un nuovo mestiere e ci incontrammo, Vincenzo.
Nutrii subito stima per te e leggendo la tua lettera capisco di non essermi sbagliato.

Certo la vita trascorreva in modo normale prima di quel terribile tornado, ma TANT’E...
Il mondo cambia senza mandare avvisi di garanzia chiari a nessuno.
Alcuni cambiamenti sono annunciati, ma tutti noi preferiamo credere che quella normalità sia per sempre.
Abbiamo tutti dei dubbi sui reali vantaggi della globalizzazione, ma dobbiamo strumentalizzare l’handicap, come già detto qui...

 

non ci sono limitazioni alla nostra mente
tranne quelle che noi stessi riconosciamo come tali
sia la povertà che il benessere
sono il risultato del nostro pensiero

 

 

Se riesci... (R. Kipling)

 

Se riesci a non perdere la testa, quando tutti intorno a te la perdono e ti mettono sotto accusa...
Se riesci ad avere fiducia in te stesso, quando tutti dubitano di te,
            ma a tenere nel giusto conto il loro dubitare...
Se riesci ad aspettare senza stancarti di aspettare
            o, essendo calunniato, a non a non rispondere con calunnie
            o, essendo odiato, a non abbandonarti all’odio
            pur non mostrandoti troppo buono
            ne parlando troppo da saggio...
Se riesci  a sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni...
Se riesci  a pensare senza fare dei  pensieri il tuo fine...
Se riesci, incontrando il successo e la sconfitta, a trattare questi due impostori allo stesso modo...
Se riesci a  sopportare di sentire le verità che tu hai detto
            distorte da furfanti che ne fanno trappole per schiocchi
            o vedere le cose per le quali hai dato la vita distrutte
            e umiliarti e ricostruirle con i tuoi strumenti ormai logori...
Se riesci a  fare un solo fagotto delle tue vittorie
             e rischiarle, in un solo colpo, a testo o croce
            e perdere, e ricominciare da dove iniziasti
            senza mai dire una parola su quello che hai perduto...
Se riesci a  costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi polsi a sorreggerti
            anche dopo molto tempo che non te li senti più
            e a resistere, quando ormai in te non c’è più niente
            tranne la tua volontà che ripete: resisti!
Se riesci a  parlare con la canaglia, senza perdere la tua onestà
            o passeggiare col Re, senza perdere il tuo senso comune...
Se tanto amici che nemici non possono ferirti...
Se tutti gli uomini per te contano, ma nessuno troppo...
Se  riesci a colmare l’inesorabile minuto con un momento fatto di sessanta secondi
            tua è la terra e tutto ciò che in essa è; e, quel che più conta, sarai un uomo, figlio mio...

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